Palazzo del Senato e via Marina, monumento a Cavallotti
“Un Collegio diventato Archivio”
Il palazzo del Senato nacque per iniziativa di Carlo e poi di Federico Borromeo quale Collegio Elvetico, ossia come istituto educativo per il clero ticinese e grigionese
L’edificio opera del Richini – davvero principesco per così pochi educandi – arrivò a compimento pressoché alla vigilia delle leggi restrittive di Giuseppe d’Austria, sicché come Collegio Elvetico funzionò ben poco. Il palazzo passò quindi in proprietà della Repubblica Cisalpina; il Regno napoleonico vi insediò il suo Senato; negli anni del Regno Lombardo-Veneto fu sede di varie istituzioni pubbliche; a partire dal 1870 ospitò l’Archivio di Stato, che vi si trova tuttora. L’Archivio è fra i maggiori d’Italia, e una delle più importanti fonti storiche europee, che di anno in anno si arricchisce anche attraverso lasciti da istituti e famiglie. I locali di via Senato raccolgono dodici secoli di documenti relativi alla vita lombarda: cimeli altomedioevali, gli archivi ducali viscontei e sforzeschi, atti delle dominazioni spagnola e austriaca, larghissimo materiale degli anni napoleonici e risorgimentali, e avanti sino alle soglie del XX secolo.
L’opera di Henry Moore davanti all’ingresso è una fra le ultime dell’artista catalano, lascito di una gran mostra del 1981.
il monumento a Felice Cavallotti
Già collocato in piazza della Rosa vicino all’Ambrosiana (piazza Pio XI), e rimasto poi per anni nell’ombra di un sotterraneo per ostilità politica. Ernesto Bazzaro lo scolpì con romantica veemenza e con fervida fede direttamente sulla pubblica piazza, e lo consegnò all’ammirazione dei cavallottiani nel 1906. Rappresenta Leonida, l’eroe delle Termopili (allusione a un poema del Cavallotti, La marcia di Leonida, ove i prodi delle Termopili venivano accomunati ai combattenti di Mentana) modellato all’antica, lancia fra le cosce, clipeo sotto i lombi, sguardo fiero all’ombra della celata. Gli fa da piedestallo una collina, e sulle falde del monte sfilano personaggi fin de siècle sbozzati con tecnica impressionistica. Lui, Cavallotti, lo si distingue per i grandi baffi, la palandrana, il gesto oratorio.
Paladino repubblicano della democrazia d’opposizione, avversario odiatissimo della Destra, concorrente rispettato e temuto della Sinistra socialista; trafitto come gli antichi cavalieri all’arma bianca e pianto alle folle: ecco Felice Cavallotti, a suo tempo il più popolare dei parlamentari italiani. Fegato e bile certo non gli mancarono: si batté, accanto al fratello, in Sicilia, nel Veneto, a Digione fra le schiere garibaldine, sparò bordate d’entusiasmo patrio in rima e in prosa, sulle scene, sui giornali, sulle piazze; guidò l’opposizione parlamentare contro tutte le maggioranze governative; spericolato spadaccino, trascinò sul terreno avversari politici e personali dopo averli infilzati con la parola scritta o con l’oratoria. Vinse, o comunque li superò, 32 duelli; al trentatreesimo finì con la bocca sull’arma del rivale, l’onorevole Ferruccio Macola, esponente della Destra conservatrice. Era il 9 marzo 1898: a soli due mesi di distanza sarebbero fischiate sul popolo milanese in subbuglio le pallottole del generale Bava Beccaris. Spentasi la voce di Cavallotti, il Governo si apprestava a fare i conti col nuovo grande oppositore lombardo (in Parlamento dal 1895), Filippo Turati.
Via Marina e la grande Esposizione del 1881
Il nome le deriva quasi certamente dalla famiglia Marino, ma non manca un’ipotesi più fantasiosa, quella di Charles de Brosses, che agli inizi del Settecento ne parlava come di «una grande via del sobborgo non selciata, che la si bagna tutti i giorni; e perciò è detta Strada Marina». In effetti vi scorrevail Seveso, prima della derivazione nel Redefossi. Qualche decennio più tardi (1778) nelle notti estive vi venne allestito il Vauxhall, «passeggio o ritrovo pubblico di persone a piedi, in luogo aperto e ben illuminato, disposto a padiglioni verdi e giardinetti con sedili, allietato dalla musica, dalle danze, da giuochi, da fuochi artifiziali, da rappresentazioni, e provveduto di spacci di bibite, rinfreschi, tabacchi, commestibili, ventagli, minutaglie e simili». Questa è la zona conosciuta anche col nome di Boschetti, cara al Parini e cantata dal Foscolo nei Sepolcri, ove sino al tardo Ottocento ebbero studio diversi artisti della Scapigliatura. Di fatto, uno dei primi giardini pubblici che si conoscano.
Nel 1881 ospitò, assieme alla adiacente villa Reale di via Palestro e dei Giardini Pubblici, la prima grande esposizione internazionale di Milano. La città offerse l’immagine della sua veste industriale e produttiva, a vent’anni dall’unità d’Italia. Il meglio della locomozione, delle macchine a vapore per ogni uso; la feconda industria tessile e serica in particolare; arredamento e complementi per l’arredo. Il signor Otis espose una fra le prime ascensori sul lato dell’edificio che poi divenne il Museo di Storia Naturale. Una monorotaia sospesa a pedali era uno fra i tanti giochi a disposizione. Quindici anni dopo si replica nel nuovo grande parco dietro il Castello; grandi kermesse che anticiparono la nascita di un’istituzione fondamentale della città: la Fiera campionaria.
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