San Simpliciano
“La Basilica Virginorum
un tranquillo quartiere a fianco di corso Garibaldi e la prima via con il controsenso ciclistico, via Cavalieri di Santo Sepolcro, alternativa comoda alla impraticabile via Pontaccio
Una tra le più illustri basiliche della città, anzi della cristianità: quella dedicata a San Simpliciano, il mite e davvero semplice successore di Ambrogio alla cattedra vescovile milanese, che qui compose le reliquie di tre martiri uccisi in Val di Non presso Trento (onde, dal nome antico latino, furono detti «martiri anauniesi»). È tradizione che Ambrogio stesso abbia consacrato la prima costruzione di questa basilica – ultima di quelle a lui attribuite – chiamandola «Basilica Virginum». Si tratta dunque di un edificio della fine del IV secolo, costruito (con l’aggiunta dei transetti) sul modello dell’aula palatina di Treviri in Germania dove l’imperatore d’Occidente trattava i più importanti affari di Stato; e si ricorderà che Ambrogio era nativo per l’appunto di Treviri.
Questo solenne edificio era alle origini, come l’aula di Treviri, privo delle colonne che lo dividono in navate; e la copertura era a capriate di legno. Probabilmente già in età longobarda lo spazio venne scandito come oggi; entro il XII secolo lo si concluse con una nuova abside, si sostituì l’originaria copertura con volte a crociera e si costruirono il tiburio (a colonnato cieco esterno, come in San Nazaro), il campanile e una nuova facciata, di cui ci sono rimasti alcuni elementi nella parte bassa. La parte superiore della facciata è un ibrido fra il romanico originario e il neoromanico dell’architetto Maciachini, 1871. La vicenda architettonica medioevale è oggi ben leggibile anche dal profano se terrà d’occhio per raffronto il transetto sinistro, che (esclusa la cappella terminale barocca) è tornato a essere praticamente come alle origini del IV secolo. Sull’angolo del transetto di destra, invece, si noteranno delle strisce bianche e nere: a quel modo tutta la basilica venne mascherata in uno zebrato intervento del 1840, già a suo tempo molto discusso, ma poi rimasto a ingannare tutti per oltre un secolo. Mosso dall’intuizione di Costantino Baroni, soprintendente alle Belle Arti negli anni Trenta, il suo successore Edoardo Arslan provò e denunciò l’inganno (1944); ma solo nel dopoguerra si cominciò a scrostare, e il lavoro sodo fu tra il 1974 e il 1985: un’opera coraggiosa, che ci permette di ritrovare in questa sobria architettura (in antico, decorata con affreschi) 16 secoli di storia delle costruzioni.
L’altare è un catafalco ottocentesco – con davanti la teca di cristallo e le reliquie di San Simpliciano – che spezza l’armonia del bel coro ligneo cinquecentesco e impedisce la visione del catino dell’abside. Qui esplode con una festa di colori l’affresco del Bergognone (1508 circa), smagliante Incoronazione di Maria entro una mandorla di cherubini e di angeli musicanti, cui attendono ben 77 figure, fra cui subito riconoscibile il segaligno Dante Alighieri. Sulla destra dell’abside, le cantorie per i due organi sono a loro volta affrescate – stessa epoca – da Aurelio Luini, molto alla maniera del padre.
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